C'è una cosa che accomuna tutti gli esseri viventi, compresi gli uomini, ed è il desiderio di essere felici ossia di vivere in pace e di sentirsi sicuri.
Se questo è il desiderio di tutti, allora è necessario che ognuno non solo faccia in modo di realizzarlo per sé, ma anche che non ostacoli il realizzarsi dello stesso desiderio per gli altri e che anzi si prodighi perché tutti possano realizzarlo.
I buddisti credono nella reincarnazione e quindi ciascuno di noi può essere stato o potrà essere il fratello, la madre, il padre o la sorella di chiunque altro uomo o animale.
Mai come nei giorni nostri l'Umanità è stata così collegata e le Nazioni sono state così interdipendenti.
Ormai abbiamo la piena consapevolezza di questo e anche di alcuni fenomeni preoccupanti che si stanno verificando: il sovrappopolamento, la limitatezza delle risorse naturali, i danni ambientali che stiamo causando, i conflitti sociali che stanno emergendo e la sperequazione della ricchezza.
Non si può pensare di concentrarsi e di agire soltanto in base ai propri interessi.
Tutti i conflitti sono dovuti all'egoismo di alcuni e alla disperazione di molti.
Apparteniamo a una stessa famiglia, la famiglia umana, e quindi non possiamo lavorare solo per garantire la nostra felicità, perché non potrà mai esistere se non sarà garantita anche quella degli altri.
La Responsabilità Universale consiste nella difesa degli interessi di tutte le persone e dell'ambiente in viviamo.
Nel mondo ci sono tante religioni differenti ed è giusto che sia così perché ognuna di esse è legata a un preciso momento storico e rappresenta le tradizioni, le esigenze e la cultura di determinate popolazioni.
Queste religioni sono indipendenti ed entrano in conflitto, causando enormi tragedie e tanto dolore, solo quando si cerca di farne prevalere una sulle altre. Questo è inevitabile.
Tutte le religioni però si fondano sull'altruismo che è la chiave fondamentale per raggungere la felicità, tutte predicano l'amore, la tolleranza, la compassione, il perdono, l'umiltà e l'autodisciplina e ancora tutte ci insegnano a non mentire, a non rubare e a non uccidere.
Per questo il dialogo tra le religioni volto a cogliere i tanti punti in comune deve prevalere sul desiderio di convertire gli altri e di imporre il proprio punto di vista.
L'enorme avanzamento scientifico e tecnologico cui stiamo assistendo ha migliorato di molto le condizioni di vita degli uomini e la sua conoscenza delle cose.
Nonostante ciò, l'inquietudine e la sofferenza psichica degli uomini non sembra essere migliorata, anzi sembra aumentata.
Questo perché i benefici che portano scienza e tecnologia sono materiali, certo devono essere portati avanti, ma non bisogna dimenticare la dimensione spirituale dell'uomo e i valori umani che sono altrettanto importanti come dimostra il fatto che i problemi fondamentali e le paure degli uomini sono ancora e sempre gli stessi.
I conflitti tra le nazioni e le religioni hanno sempre condotto alla guerra e ad azioni violente. Questi conflitti sono causati dall'egoismo e dal tentativo di risolvere in modo sbrigativo e immediato problemi che invece sono complessi.
L'unica strada che porta alla soluzione definitiva di problemi complessi è quella del dialogo. Cercare di comprendere le esigenze e le ragioni degli altri è fondamentale per arrivare a una soluzione pacifica e non violenta delle controversie. Soltanto un compromesso può accontentare tutti.
Pur essendo stato il Tibet storicamente una sorta di monarchia, il Dalai Lama afferma che in realtà è la democrazia la forma di governo più giusta perché è quella che assicura una maggiore libertà e garantisce l'uguaglianza tra i cittadini.
La libertà è importante perché solo attraverso di essa si può raggiungere la felicità. Infatti l'insegnamento di Buddha è che l'ignoranza è causa di sofferenza e rende schiavi, mentre la saggezza porta a essere liberi e felici.
La democrazia è quindi il sistema di governo da preferire perché è quella che più si avvicina alla natura dell'uomo.
Nel 1950 la Cina comunista invase militarmente il Tibet, approfittando del fatto che l'opinione pubblica mondiale era distratta da altre guerre che avevano un maggiore appeal mediatico.
La giustificazione di questo atto fu quella che il Tibet aveva sempre fatto parte dei territori cinesi, fin dal tempo dell'impero Mongolo.
Un po' come dire che la Francia, la Spagna e la Germania debbano essere regioni dell'Italia perché al tempo dei Romani facevano parte dell'Impero.
Da allora il Governo cinese ha represso nel sangue ogni tentativo di ribellione ed ha attuato una politica di "segregazione ed assimilazione", ossia i tibetani sono considerati cittadini di seconda classe all'interno del loro stesso Paese e la loro cultura viene a poco a poco cancellata. Per accelerare il governo Cinese ha imposto la migrazione di milioni di cinesi in Tibet, che ora superano in popolazione gli indigeni.
Nel 1959 il Dalai Lama abbandonò il Tibet e si traferì in India con l'intento di continuare dall'esterno la causa di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e di pressione sul Governo cinese per la riaffermazione della libertà e dell'indipendenza del popolo tibetano.
La proposta del Dalai Lama, chiamata la Politica della Via di Mezzo, consiste in un compromesso che soddisfi entrambe le parti. In pratica il Tibet dovrebbe essere una regione autonoma, una regione di pace, all'interno della Repubblica Popolare Cinese che possa gestire e salvaguardare in modo indipendente la cultura, le tradizioni, l'istruzione, la religione e l'ambiente di questa regione e che continui a dipendere dalla Cina per la politica estera e la difesa.
Il Tibet in realtà sarebbe già una regione autonoma, ma soltanto sulla carta, perché tutte le cariche rilevanti sono in mano a funzionari cinesi che si adoperano per attuare la politica promossa dal Governo di Pechino che prevede:
- lo sfruttamento scellerato delle risorse naturali,
- la persecuzione violenta dei dissidenti,
- la violazione dei diritti umani,
- il rifiuto della libert religiosa,
- l'imposizione di regole contrarie alla cultura e alla religione dei tibetani,
- l'annientamento dell'identità del popolo tibetano attraverso la cancellazione progressiva della lingua, delle tradizioni e dei costumi del luogo.