Un giorno nella antica Pompei

Pompei  è stata definita “la più viva tra le città morte”  infatti, pur essendo stata completamente distrutta nel 79 d.C. dall’eruzione del Vesuvio che ne uccise gran parte della popolazione e che la ricoprì di uno strato di 6 metri di cenere e lapilli, gli scavi archeologici hanno portato alla luce una città di duemila anni fa, così com’era al momento in cui avvenne la tragedia. 

Qualche sera fa su Rai I hanno riproposto un documentario di Alberto Angela, intitolato “Stanotte a Pompei” in cui si racconta cosa accadde nei giorni della tragedia e come si viveva all’epoca, ripercorrendo le strade e visitando i luoghi della città.

Ultimi aggiornamenti !!!

Come al solito le ricostruzioni fatte da Alberto Angela e dal suo staff sono molto interessanti e si finisce sempre per imparare qualcosa di nuovo. In questa puntata ho scoperto alcune cose che non conoscevo o che non ricordavo:

1. Ai tempi dei romani si ignorava che il Vesuvio fosse un vulcano.

Noi riconosciamo facilemente il profilo del Vesuvio nelle foto che lo mostrano sullo sfondo di foto del golfo di Napoli o che mostrano il suo cratere dall’alto e ci chiediamo come mai gli abitanti di siano stati presi così alla sprovvista e come mai fossero così sorpresi da questo fenomeno.

Vivevano pur sempre nei pressi di un vulcano, potevano immaginare cosa stesse succedendo. La verità  è che la maggior parte dei Romani non sapeva che il Vesuvio fosse un vulcano e non avevano un Mario Tozzi che li avvisasse del pericolo che correvano costruendo sulle sue pendici. Inoltre il cratere, così come lo vediamo noi oggi, all’epoca non c’era, si è formato proprio il giorno dell’eruzione del 79 d.C.

Il monte Somma ed il Vesuvio costituivano un unico grande monte dalla cima piatta, un monte le cui pendici erano incredibilemente fertili e caratterizzato da sorgenti di acqua calda e soggetto a scosse sismiche [2].   

Solo alcuni, proprio a causa di questi strani fenomeni geologici e dell’aspetto delle sue rocce, lo ritenevano un vulcano spento. Tra questi, Strabone (60 a.c. – 21/24 d.C.) uno storico e filosofo greco, nel 18 d.C. (61 anni prima dell’eruzione), scriveva: “Sovrasta a questi luoghi il monte Vesuvio, cinto tutto intorno da campi magnificamente coltivati ad eccezione della vetta, in gran parte piana, del tutto sterile e dall’aspetto cinereo, e presenta cavità cavernose di pietre fuligginose nel colore come se divorate dal fuoco, cosa che attesta che il monte in un primo tempo ardeva e aveva un cratere infuocato che poi si è spento quando il materiale igneo si è esaurito. Forse è proprio questa la causa della fertilità dei terreni circostanti, come a Catania la cenere decomposta dell’Etna”.

Inoltre nel 62 d.C. ci fu un violento terremoto (forse del nono grado della scala Mercalli)  che provocò enormi danni a tutti gli edifici della città. Tanto che molte ristrutturazioni e riparazioni erano ancora in corso 17 anni dopo, quando si verificò l’eruzione. Questa cosa è testimoniata dal fatto che in tutta la città ci sono tracce di lavori in corso. [13]

2. Furono diverse le città a essere colpite dall’eruzione non solo Pompei ed Ercolano.

L’eruzione del 79 d.C., avvenuta quando l’imperatore di Roma era Tito (39-79-81 d.C.), è associata alle città di Pompei e di Ercolano, che sono anche quelle più visitate dai turisti. In realtà anche altre furono coivolte anche le città di Stabia  ed Oplontis.

Stabia, che corrisponde all’attuale Castellammare di Stabia, venne distrutta dall’eruzione ma il suo ripopolamente cominciò subito dopo a differenza di Pompei ed Ercolano. Essendo su mare era per i romani un posto di villeggiatura e nelle sue vicinanze si trovavano varie fattorie. Sulle sue spiagge il giorno dell’eruzione trovò la morte Plinio il Vecchio che era un natituralista, scrittore e filosofo ma che all’epoca era anche comandante della flotta Romana di istanza a Capo miseno. Quel giorno, durante l’eruzione, corse in aiuto di una sua amica, Rectina, e degli altri abitanti di Stabia, ma non fu più in grado di lasciare il porto della città e morì per le esalazioni del vulcano. Fu suo nipote, Plinio il Giovane (61-114) a raccontare questa storia e a descrivere l’eruzione in due lettere (106/107) allo storico Tacito. La descrizione presente in ueste lettere è così precisa che eruzioni di questo tipo hanno preso il nome di eruzioni di tipo pliniano.

Oplontis o Oplonti,  durante l’eruzione, fu seppellita sotto una coltre di cenere e riprese vita solo alcuni secoli dopo il tragico dando origine all’odierna Torre Annunziata. Sul suo territorio all’epoca erano presenti alcune ville di villeggiatura, diverse fattorie, saline e complessi termali che sfruttavano appunto le sorgenti naturali di acqua calda.

3. Il giorno esatto dell’eruzione non è noto con certezza

Le notizie ricavate dalle fonti che parlano di questo evento non pemettono di datare con assoluta certezza il giorno in cui avvenne l’eruzione. La data inizialmente accettata era quella del 24 agosto, perché una delle fonti parlava di “nove giorni prima delle calende di settembre”. Ma i ritrovamenti di monete coniate nel settembre di quell’anno, di una scritta a carboncino su un muro e di bracieri usati per il riscaldamento e alimenti tipici del periodo autunnale, fanno pensare che in realtà l’evento sia accaduto il 24 ottobre o addirittura il 23 novembre.

 

4. Pompei non fu sommersa dalla lava

Chi non ha visto almeno una volta in fotografia il profilo degli abitanti di Pomepi venuti alla luce durante gli scavi archeologici? Credo che le foto dei corpi di uomini o animali raggomitolati che cercano di proteggersi siano familiari a tutti. Ho sempre pensato ingenuamente che quelli fossero corpi ricoperti dalla lava del Vesuvio che aveva sommerso le città vicine. A pensarci bene era una ipotesi un po’ improbabile vista la distanza della città dal vulcano.

La verità  che le città vicine al Vesuvio furono sommerse sì, ma non dalla lava, ma in un primo momento da un pioggia di lapilli e pomice e in un secondo momento dal fatto che l’enorme fungo di materiale eruttivo (si pensa alto fino a 26Km) che era fuoriuscito dal vulcano e si era alzato in alto ad un certo punto collassò e per effetto del vento, si abbattè sulle città limitrofe.

L’ondata infernale (flusso piroclastico) era costituita da gas roventi ceneri e vapore acqueo vaporizzò le persone che si trovavano all’aperto, mentre uccise per asfissia le persone che erano al riparo. Quindi il materiale trasportato da questa ondata uccise persone ed animali che furono poi anche ricoperti dalla pioggia di cenere e lapilli che li ha seppelliti per duemila anni. “Le città stesse scomparvero alla vista, sepolte sotto almeno 10 metri di materiali eruttivi. Le desolate distese che avevano visto la vita vivace e ricca, ora erano evitate e oggetto di terrori superstiziosi” [8].

Il vulcano da allora ha eruttato dverse volte, ma solo durante l’eruzione del 1036 “si ebbe la prima eruzione con fuoriuscita di lava: evento importantissimo nella storia del monte, giacché fino ad allora le eruzioni avevano prodotto materiali piroclastici, ma non magma” [8].

5. I resti di persone ed animali sono dei calchi in gesso

I corpi delle persone e degli animali morti furono ricoperti da cenere e non da lava, ma come hannoquesti resti ad arrivare fino ai giorni nostri? Non si sono decomposti?

L’eruzione del Vesuvio causò la morte di migliaia di persone in vario modo: alcune furono colpite violentemente dai lapilli, altre morirono nel crollo di tetti e palazzi in seguito al terremoto, altre furono vaporizzati dall’ondata di materiale piroclastico, molte altre morirono per asfissia a causa delle veneri e dei gas che impregnavano l’aria, altre che avevano cercato riparo e salvezza sulla spiaggia morirono a causa di uno tsnunami causato dal terremoto. Dopo tre giorni di questi fenomeni catastrofici lo scenario doveva essere davvero apocalittico. Migliaia di persone morte e case distrutte ricoperte da metri di cenere. Fu per questo che, dopo la catastrofe, non si procedette subito alla ricostruzione delle città. 

Quelli che vediamo nelle foto e nei musei sono i calchi in gesso delle persone morte a Pompei ed Ercolano. “Il 5 febbraio del 1863 mentre si sgombrava un vicolo, il Fiorelli, il direttore degli Scavi, venne avvertito dagli operai che avevano incontrato una cavità, in fondo alla quale si scorgevano delle ossa.

Ispirato da un tratto di genio, il direttore Giuseppe Fiorelli ordinò che si arrestasse il lavoro, fece stemperare del gesso, che venne versato in quella cavità e in altre due vicine. Dopo aver atteso che il gesso fosse asciutto, venne tolta con precauzione la crosta di pomici e di cenere indurita. Eliminati dunque questi involucri, vennero fuori quattro cadaveri.

La cenere, avvolgendo i corpi, ne ha preso la forma. Una volta che il corpo imprigionato all’interno si decompone naturalmente, la cavità che si crea conserva perfettamente le forme di quel corpo, compresa l’espressione del viso” [10].

Questa è la spiegazione di come sono stati ottenuti uesti calchi, i corpi si sono decomposti, ma la cenere che li aveva ricoperti si era indurita e aveva lasciato una cavità riempiendo di gesso questa cavità e togliendo la cenere sono venuti fuori dei calchi molto dettagliati che rappresentano la persona che è stata imprigionata dalle ceneri. Addirittura le ossa delle persone non si sono decomposte e sono rimaste attaccate alle estremità della cenere indurita e sono rimaste sospese fino a quando non sono state inglobate dal gesso nel calco. Per questo  stato possibile a analizzarle alla tac e scoprire varie cose interessanti sulle patologie e le abitudini alimentari dell’epoca.

Un’idea geniale che ci ha permesso di vedere l’aspetto, l’espressione e gli abiti di persone vissute duemila anni fa.

Sono 1150 i corpi ritrovati negli scavi di Pompei, ma rimane ancora un terzo della città da scavare.
Si spera che un documento così importante per l’umanità intera non si lasci dormire come spesso accade nei siti archeologici italiani. Si tratta ovviamente di un documento unico al mondo, per l’epoca remota, per l’archeologia, per l’aspetto profondamente drammatico e umano.” [10]

E’ di qualche giorno fa la notizia della scoperta di altri due corpi intatti nella villa suburbana di Civita Giliana. Anche questi due corpi sono dei calchi in gesso ricavati con la stessa tcnica ideata da Giuseppe Fiorelli.

Recentemente è stata adottata una nuova tecnica per la realizzazione dei calchi che prevede l’uso del vetro rsina al posto della calce. In questo modo è possibile vedere anche lo scheletro delle vittime e i gioielli indossati al momento della fuga. [13]

Galleria fotografica: ***

 

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Aggiornamenti

  • Nel novembre 2020 sono stati ritrovati, in località Civita Giuliana, altri due corpi integri e perfettamente conservati per i quali è stato possibile realizzare il calco in gesso.
  • A fine dicembre 2020 la Rai ha messo in onda uno speciale molto interessante sui ritrovamenti relativi agli scavi degli ultimi due anni: “Pompei ultima scoperta“.
  • Il 27 agosto 2021 è stata diffusa la notizia della scoperta presso la necropoli di Porta Sarno di resti umani mummificati. Sulla lastra marmorea posta sul frontone della tomba un’iscrizione commemorativa del proprietario Marcus Venerius Secundio richiama, straordinariamente, lo svolgimento a Pompei di spettacoli in lingua greca, mai prima attestati in maniera diretta.

 

Fonti e riferimenti:

 

4 anni ago

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